Da Mostar al Polesine la guerra ai Rom continua

Le impronte digitali ai Rom -compresi i minori dai 6-14 anni, sono solo l’ultimo atto di una persecuzione verso i Rom che perdura dal 1400.

Fatima Seferovic è scappata dalla guerra dell’ex Jugoslavia per arrivare in Italia nel 1991. Ora con permesso di soggiorno scaduto e senza aiuti è ridotta alla disperazione e può essere espulsa in qualsiasi momento dal suolo nazionale assieme ai figli due dei quali nati in Italia. Una situazione –espulsione dal territorio nazionale, che accumuna la famiglia di Fatima a migliaia e migliaia di altre famiglie rom scappate dalla guerra di Jugoslavia e residenti in Italia da decenni e decenni.

IL PONTE DI MOSTAR

Veniva Uliano Lucas, di luglio 1993 a Rovigo, a mostrare le foto del ponte di Mostar, cittadina della Jugoslavia, simbolo del dialogo fra culture e popoli, storica arcata – ma quanto squisita ed ornata!, ad unire sponde differenti nel vero senso di connessione, di relazione. Un ponte che fu bombardato e distrutto in quei giorni delle separazioni e dell’odio verso le differenze: prima quelle economiche, nazionalistiche, poi quelle religiose, di genere… “I giardini di Mostar sono seminati a tombe”, scriveva Erri de Luca nel maggio 1995. Poi il ponte fu rico-struito in un tentativo anche simbolico di riconciliazione ma i suoi tronconi, segni di una rottura tragica con chi sta dall’”altra parte”, si ergono in altre terre, in altri mondi… anche in Polesine.

FATIMA DA MOSTAR

I tronconi distrutti del ponte di Mostar sono conficcati ed incisi nelle carni di Fatima Seferovic che da quella guerra scappò col marito e quattro figli per arrivare in Italia nel 1991. Nei primi tempi i profughi parevano “sistemati”, col lavoro e con la casa, la ragazza più grande sposata ad un Sinto, ma ultimamente la situazione è diventata di-sperata. Vivono in un casolare di proprietà sperduto nelle campagna polesana nei dintorni di Baruchella (Ro). Suzan, è stato ucciso da un’automobile sullo stradone di casa a 17 anni di età -due anni fa, Angela ha quasi 18 anni, Anita 15, Stella e Susan, nati in Italia, hanno rispettivamente 12 e 10 anni. Il marito, Serif, dopo più di dieci anni di regolare lavoro, ha perso ora il permesso di soggiorno per un tumore incurabile che gli impedisce di lavorare, ha bisogno di assistenza continua e fa fatica anche a guidare il camioncino.

L’abitazione, il casolare, è lontana tre chilometri dal più vicino centro abitato e Fatima spera che Angela fra sei mesi (al compimento del 18° anno) possa prendere la patente per aiutare la famiglia, ma non sarà possibile perché non è in regola, anzi con la maggior età diventa espellibile. Tra le altre avversità Angela e Stella avrebbero bisogno di un’operazione per uno strabismo agli occhi ma la “card” regionale per gli irregolari non permette questo tipo di intervento.

“VOGLIO ANDARE VIA DI QUI”

Mancano cibo, vestiti, assistenza sociale e morale, soldi per la bolletta della luce e per pagare l’assicurazione del camioncino: “Non ce la faccio più, voglio andare via di qui”, esclama Fatima. Il marito ha ancora pochi mesi di vita ed è “perso”, crea anche difficoltà alla moglie ed ai ragazzi e quando lui entra in casa loro ne escono. C’è un clima di abbattimento generale. “I miei figli hanno perso la voglia di vivere” esclama Fatima disperata, “voglio andare via di qui, qualcuno mi aiuti!”
NEGLI OCCHI DI SUSAN

Anita ha conseguito la licenza di scuola media e starà a casa. Stella è stata bocciata in prima, Susan è stato respinto in seconda elementare (dovrebbe fare la quarta) a causa delle assenze perché non ce la faceva più a salire in pulmino coi ragazzi che lo prendevano in giro dandogli dello “zingaro”. “Chi sa vedere guardi” e si faccia osservare, magari da dietro lo schermo del computer, da questo ragazzo che sta morendo di abbandono di desuetudine, di disperanza alla vita. Ma non era finita la guerra?

“PER QUANTO VOI VI SENTIATE ASSOLTI”

E’ in atto una persecuzione sociale ed istituzionale, senza esclusione di colpi verso i minori, contro questa ed altre famiglie del territorio in cui viviamo, che ci vede tutti complici seppur a diversi livelli. Ma un giorno, ci auguriamo che, gli ufficiali di questa guerra infinita saranno imputati al Tribunale per i Diritti dei Popoli: il Prefetto Landolfi, i sedicenti as-sessori alla Pace e Diritti Umani di Provincia e Comune – Virgili e Saccardin, il direttore della Caritas Bellinati, la responsabile Croce Rossa Monesi, tutti quei soldatini istituzionali che, ligi al dovere e facendo finta di non sapere, continuano a scavare trincee di esclusione sociale ed i “civili” che restano sordi di fronte alle numerose invocazioni di “umanità” di Fatima e famiglia.

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